(dalle 19.30 buon cibo e beveraggi come autofinanziamento)
SPAZIO AUTOGESTITO
VIA DE RUBEIS, 43 a UDINE
incontro di approfondimento sulle smart control room e sulle implicazioni di questi progetti discriminatori e repressivi di sorveglianza di massa
Da marzo 2024, anche Udine, come Venezia, Trento, Bolzano, Milano e altre città entra in una progettualità di smart city. Un videowall di ultima generazione, una parete di 20 metri quadri composta da 12 monitor che trasmette le immagini in costante aggiornamento che provengono dalle telecamere di sorveglianza, che per mezzo di un software integrato da algoritmi di intelligenza artificiale, incrocerà dati come ad esempio il luogo, l’orario, il colore degli indumenti, i dettagli dei veicoli, dalle immagini raccolte in diversi contesti dalle telecamere. Tutto ciò nella Control Room del Comando di Polizia Locale di via Girardini a Udine.
A proposito della psicosi securitaria che imperversa nella soporifera “capitale del Friuli”, riportiamo questa lettera inviata al “Messaggero veneto” e pubblicata il 18 aprile 2024
“[…] Faccio spesso la spola tra Udine e Milano (una città con ben altri problemi di criminalità rispetto a una provincia – come quella friulana – certificata dal Sole 24 ore come tra le più tranquille d’Italia) e rimango allibito nel vedere che il problema principale degli udinesi pare essere non quello del degrado della sanità pubblica o del pericolo incombente di guerra ma quello della “sicurezza”.
Abbiamo l’esercito in borgo stazione, pattuglie della polizia che perlustrano il centro e i parchi cittadini, stuoli di vigilantes privati ovunque e la sensazione di “insicurezza” anzichè diminuire aumenta.
Ad alimentare la psicosi securitaria (perché di questo si tratta) ci si è messa pure la giunta De Toni che, inseguendo le peggiori politiche della destra, se ne è uscita con l’idea della “sicurezza partecipata”, in pratica arruolare volontari che facciano da terminali sul territorio allertando le forze dell’ordine.
Una soluzione, temo, che diventerà il ricettacolo dei peggiori psicopatici cittadini desiderosi di trasformarsi in delatori dei propri vicini di casa. E i primi sintomi si notano nella comparsa qui e là di improbabili “sceriffi condominiali” che mettono in allarme i concittadini con iniziative improvvisate.
Vedo con preoccupazione crescere una psicosi xenofoba che addita migranti e minori non acompagnati come il problema principale mentre queste persone vengono abbandonate a loro stesse e non viene svolta alcuna seria politica di integrazione attiva (se non da parte di qualche associazione di volontariato).
Veramente vogliamo diventare come gli Stati Uniti dove in caso di catastrofe naturale prima dei servizi di soccorso si organizzano le guardie armate anti sciacalli ? Non risulta che in quel paese (dove ogni cittadino può girare armato) la “sicurezza” sia migliore che in Friuli. […]”
A Udine la giunta De Toni (centrosinistra extralarge) è ormai lanciata all’inseguimento della destra peggiore alimentando nella cittadinanza una vera e propria psicosi securitaria.
Ci riferiamo alla recente firma del “protocollo sulla sicurezza partecipata” con cui si vogliono arruolare volontari che fungano da terminali sul territorio delle forze dell’ordine. Riportiamo di seguito un articolo di critica comparso sul sito “Friulisera”
“Come succede spesso la politica spera che cittadini, ma soprattutto la stampa, siano disattenti e nel caso della seconda correi. E’ così in Fvg per le vicende sulla gestione della salute, che vede la giunta Fedriga responsabile di una intollerabile politica di disfacimento della sanità pubblica, ma purtroppo vede ora anche la giunta di centro sinistra del Sindaco De Toni macchiarsi di simile responsabilità sul tema sicurezza, non solo andando in sostanziale continuità con le politiche securitarie della destra SEGUE
“Prima di internet, sarebbe stato difficile trovare qualcuno e farlo sedere per dieci minuti a lavorare per te, per poi licenziarlo passati quei dieci minuti. Ma con la tecnologia, in realtà, puoi davvero trovarlo, pagarlo una miseria e poi sbarazzartene quando non ti serve più” (1) questa frase dell’imprenditore americano Lukas Biewald descrive alla perfezione la nuova realtà creata dal capitalismo delle piattaforme.
Una situazione tutt’altro che marginale visto che (secondo stime ufficiali) attualmente risultano attive nella sola Unione europea circa 500 piattaforme digitali che nel 2022 impiegavano almeno 28 milioni di lavoratrici/ori, destinate a diventare 43 milioni entro il 2025, un nuovo proletariato digitale privo di ogni tutela. (2)
Riportiamo questo articolo pubblicato su “Umanità Nova” n. 7/2025. Mentre l’articolo andava in stampa la Direttiva è stata nuovamente bloccata in Consiglio dall’opposizione di Francia, Germania, Grecia ed Estonia. Il rischio di andare alle calende greche (evidenziato dall’articolo che conserva la sua attualità) è confermato.
Per le anarchiche/i questa tortuosa vicenda legislativa è l’ennesima riprova che solo con la lotta e non con il voto si possono ottenere significative conquiste.
Ma vediamo di inquadrare il problema: i “platform worker” costituiscono un nuovo proletariato digitale in rapida espansione. Persone assunte, controllate, pagate da una piattaforma digitale, in genere a cottimo e senza nessuna garanzia. Tra queste persone alcune operano esclusivamente online, altre prestano servizio sul territorio (rider, autisti di Uber ecc.). Costituiscono già un numero significativo, nella sola UE erano almeno 28 milioni nel 2022 e diventeranno 43 milioni nel 2024.
In occasione dell’anniversario della Liberazione (27 gennaio 1945) dei deportati nel Lager di Auschwitz rinnoviamo con decisione il nostro impegno antirazzista e contro ogni forma di antisemitismo.
(da “Umanità Nova”, n. 1, 14 gennaio 2024) Natale ha portato ai rider (e in generale a tutti i lavoratori digitali) un dono sgradito. Il 22 dicembre un nutrito gruppo di paesi capeggiato dalla Francia ha bloccato l’iter del progetto di Direttiva sui “platform worker” (i lavoratori che operano alle dipendenze di una piattaforma digitale). La stessa relatrice del progetto Elisabetta Gualmini ha parlato di influenza delle “lobby e delle multinazionali” nel sabotare l’accordo tra i governi.
Come anarchici non abbiamo mai riposto fiducia nel processo legislativo, specialmente se non è sospinto da una robusta e costante mobilitazione di piazza.Infatti la proposta di Direttiva (attesa dal 2017) era stata presentata dalla Commissione Europea solo nel dicembre 2021 (giusto due anni fa) per intraprendere poi il lungo e accidentato iter legislativo comunitario, sotto la continua minaccia di imboscate e trabocchetti da parte delle potenti lobby del settore.
C’è poi da aggiungere che una “Direttiva” (a differenza di un “Regolamento”) non è immediatamente applicabile nei diversi Paesi membri ma deve essere tradotta in leggi nazionali, con relativo rinvio di anni e concreti rischi di insabbiamenti e stravolgimenti:
Dal n. 5 di “Collegamenti”, novembre 2023 riportiamo questa recensione su temi (come quello dei rider, del lavoro precario e dei lavoratori delle piattaforme digitali) di cui ci siamo già occupati in precedenti articoli
Valentina De Nevi, “Uneasy rider. La storia nascosta del food delivery,” Novalogos, 2022, 129 p., 14 euro
Il libro si propone di “indagare il mondo del food delivery in quanto contesto di oggettivazione delle dinamiche di quello che è stato definito ‘capitalismo delle piattaforme’” (p. 7), l’indagine si è svolta in pieno periodo pandemico (con tutte le difficoltà del caso) attraverso colloqui con esponenti delle Camere del lavoro autonomo e precario e della Rider Union di Bologna, interviste a rider, analisi dei siti e social e lo studio di un ricco apparato di studi preesistenti. Purtroppo, come precisa l’autrice, non è stato possibile includere tra gli intervistati lavoratori immigrati (ormai massicciamente presenti nel settore), questo sia a causa delle barriere linguistiche, sia dal fatto che, causa le limitazioni della pandemia, l’autrice ha dovuto svolgere buona parte della ricerca sul campo nel proprio luogo di residenza: una città medio-piccola del centro Italia. I rider intervistati lavoravano per Just Eat, Deliveroo e per una azienda locale, una rider è stata accompagnata nel corso di una settimana nel suo lavoro di consegna (p.15-19, 92).
L’Intelligenza Artificiale (che la Treccani definisce come quella “disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l’uso di un computer”) e i suoi sviluppi sono al centro dell’attenzione del dibattito massmediologico, ben pochi invece hanno sentito parlare delle centinaia di migliaia di lavoratori che, sottopagati a cottimo, “addestrano” i computer a replicare comportamenti “umani”.
Sono i cosiddetti “turchi meccanici” o “turker”, con una trasparente allusione al celebre automa costruito nel 1700 da Wolfgang von Kempelen. In quel caso si trattava di una macchina con sembianze umane, vestita come un turco (da qui il nome) che era in grado di giocare a scacchi autonomamente tenendo testa anche a grandi campioni. Solo in seguito si scoprì la frode. All’interno dell’”automa” si nascondeva un nano, esperto scacchista, che ne guidava i movimenti. Anche oggi, nel caso di Alexa, Cortana, ChatGPT o magari del robot aspirapolvere che pulisce il pavimento, dietro ogni macchina c’è una miriade di esseri umani che l’hanno addestrata e continuano ad addestrarla a svolgere ogni singolo compito.
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